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PANTERE E ASFODELI. SENTIERI DELLA COLLINA TORINESE

Tu sai quanto m’aggradi andar vagando ogni dì per questi dilettosi monti che la montagna di Torino uniti compongono.
CARLO BOTTA

Alzi la mano chi dopo un anno di confinamento obbligato e sconfinamento proibito ha in odio la città. L’urgenza di camminare, di esplorare, l’istinto più audace che ci rende animali è inibito, ridotto in catene. L’arrivo di un cane, nel mio caso, ha rimpicciolito ancor più le occasioni. Perché facendo e rifacendo gli stessi percorsi ogni giorno, tutto diventa in breve già visto e rivisto: e sì che stare a Torino, lasciando da parte la qualità dell’aria, che è pessima, verde com’è e costellata di giardini e parchi, è già una fortuna. Questa primavera la mia smania s’è avvolta attorno a Superga, come lei fosse la cruna ed io il filo.

Anni fa, quando per varie ragioni avevo lasciata la Valle e certi ricordi che lei riaccendeva, mi venne da scrivere “non di montagna, d’aspra roccia bensì di terra grassa, di collina ho voglia”. Presi a salirla, la collina, a girare quel drago odoroso d’aglio selvatico e grappoli di gaggia che veglia la triste città. Gli dedicai qualche pagina. Salivo come sulle montagne, con gli scarponi, sui sentieri incrociando quasi nessuno. Sulle tracce di cinghiali e caprioli, per quelle piste impervie al tempo ci andavano in pochi, e a me pareva di fuggire alle ceneri urbane. In cima un ciclista o due mi guardava come avessi smarrito la strada.

Ripetitori al colle della Maddalena

Su alcune vie, specie quelle prossime ai parchi e alle ville, i ripetitori e le antenne e i tralicci son ficcati come lance nel corpo della terra. L’elettrosmog uccide e un disordine strano pare mangiarsi la luce, mentre altrove non c’è, ed è lì che noialtri si va. La pandemia ha fatto della collina una scialuppa per i camminatori assidui e uno spazio curioso per gli altri, che stentano a salire con le loro scarpette e i loro berretti e le borracce sgargianti. Con Heidi e gli amici abbiamo setacciato i boschi d’oltrepo, trovando un rifugio che già Cesare Pavese aveva amato e cantato, e tanti altri prima di lui.

Quelli di Cesare erano anni che il Po non metteva ribrezzo a nessuno. Nell’acqua “che entra negli occhi e li lava” io ci ho messo i remi e la pelle; dalla punta dei piedi sentivo una forza salire, e un gelo, che pareva di sfiorare le cime dei monti. Guardavo oltre il ventre dei ponti, dal pelo dell’acqua, la collina nata da uno scontro di forze. In tempi remoti la placca di sedimenti miocenici andò contro le prealpi canavesane, determinando un innalzamento nel punto di contatto. Il versante nord-ovest verso Torino è diverso da quello dolce di là, verso Chieri. Qui ha pendenze marcate, valli corte ed incise che sfiancano i neofiti della domenica. Il Po s’è mangiato i piedi del drago, e di fame ne ha ancora.

Tanto era terra incognita che anni fa si diceva una pantera avesse preso possesso dei boschi. In Prefettura si decise di studiare le tracce lasciate dalla belva e di tentare una battuta di caccia. Nei comuni intorno al parco di Superga, il sindaco di Pino fece attaccare manifesti ai negozianti: “È stato avvistato un animale che potrebbe essere una pantera. Non avventuratevi in zone isolate e non lasciate soli i vostri bambini nel parco”. La collina sa di selvaggio davvero, ma solo a chi è poco avvezzo ai sentieri. Di tanto in tanto, ancora adesso, qualcuno fotografa un gatto, rinnovando le voci.

Per il resto fa più da fondale alla frenesia che il virus ha un po’ rallentato.

Maestro nel cadenzare le ore—ci sarebbe da prendere esempio—fu Xavier de Maistre, fratello minore del reazionario Joseph. Ritenuto in passato un flâneur o un umorista, Xavier serviva nell’esercito del Re di Sardegna e nel 1790, dopo un duello fallito, a Torino, venne posto agli arresti. Nelle settimane di prigionia si dedicò alla composizione di un racconto fantastico, Voyage autour de ma chambre (Viaggio intorno alla mia camera), pubblicato nel 1794. Era una parodia autobiografica del grande racconto di viaggio: un giovane funzionario, imprigionato nella sua stanza per 42 giorni, esplora ambiente ed arredi come fossero un continente sconosciuto. Visto il successo, ritentò l’impresa con Expédition nocturne autour de ma chambre (Spedizione notturna intorno alla mia camera), e qui scrisse del drago:

Cominciava a spuntare il maestoso tempio di Superga; la collina di Torino sulla quale posa, s’alzava a poco a poco dinanzi a me, coperta di boschi e di ubertosi vigneti, offrendo con orgoglio al sole morente i suoi giardini e le sue ville, mentre le abitazioni più semplici e modeste sembravano mezzo nascoste nelle vallate, quasi a dare una dimora ai saggi e favorire le loro meditazioni. Collina incantevole! Tu mi hai spesso veduto cercare i tuoi solitari recessi e preferire i tuoi sentieri nascosti alle brillanti passeggiate della capitale; tu mi hai visto spesso perduto tra i tuoi labirinti di verde, attento al canto dell’allodola mattiniera, il cuore pieno di vaga inquietudine, e del desiderio ardente di rimanere per sempre nelle tue valli piene d’incanto. Ti saluto, collina, la tua immagine è nel mio cuore!

Carlo Botta, canavesano, storico e politico di idee giacobine, nei suoi scritti trasformò “questi dilettosi monti” in uno sfondo arcadico, un Eden vero e proprio dove “parevami che tutto il mondo fosse diventato una solitudine e noi due soli fossimo rimasti sulla terra”. Non è impossibile ritrovarsi in solitudine sulla GTC, la Grande Traversata della Collina, il lungo itinerario escursionistico, nato per iniziativa del CAI (Club Alpino Italiano), che da Moncalieri sale a Superga quindi spazia e digrada verso San Mauro, Castiglione e Gassino. Occhieggiando le anse del Po, lasciate indietro le fabbriche e le periferie, ci si addentra tra campagne squisite che passando per Rivalba e Sciolze portano ad Albugnano, Castelnuovo e ai poggi della Freisa. Le Colline del Po, assieme al Parco del Po Torinese, nel 2016 sono state riconosciute come riserva della biosfera UNESCO. 

A un bivio del sentiero lascio procedere il branco. Affisso giusto sotto la segnaletica c’è un avviso su cui campeggia la parola “AIUTO!”.

Io che temevo processionarie o bocconi avvelenati, trovo la solita storia. Il volantino del Comitato NoTangEst mi ricorda che anche qui, come già in Valsusa, un territorio di grande valore agricolo e paesaggistico è minacciato. L’unica soluzione al traffico sulla SP 590 sarebbe, secondo le autorità, la costruzione dell’ennesima grande opera: la Tangenziale Est (o Gronda Est), un’arteria di comunicazione che, vien da sé, porterà ad un aumento del traffico veicolare pesante diretto alla collina, generando fenomeni di urbanizzazione e di edificazione residenziale, commerciale e industriale con conseguente distruzione di terreno agricolo.

Passati casali e boschetti, ci fermiamo a pranzare in una radura punteggiata d’asfodeli. La mia amica tiene buoni i cani con qualche leccornia, intanto io cerco notizie. Uno studio del Politecnico di Torino datato 24 aprile 2009 ipotizzava i tracciati. Venerdì 11 dicembre 2009 erano iniziate le trivellazioni a Bardassano, sulla strada per Sciolze. La trivella venne poi spostata sulla provinciale tra Bussolino e Rivalba. Nel 2010 il CAP (Concessioni Autostradali Piemontesi) redasse uno studio di fattibilità e nuovi tracciati. Tutto come da copione: studi, progetti, trivelle, comitati, proteste. In Valle l’esercito, e qui?

Un comunicato datato 9 aprile 2021, praticamente l’altro ieri, annuncia lo “scampato il disastro”: la Tangenziale Est non è entrata nel Next Generation EU, stralciata dai progetti sulle grandi opere da presentare per il finanziamento. Il Comitato NoTangEst promette che non smetterà di impegnarsi a difendere il territorio tra Gassino e Chieri: “Non ci sono alternative a basso impatto ambientale con ‘tracciati green’ o ‘tangenziale verde’ a opere come la Tangenziale Est, come qualcuno sostiene, ma solo investimenti alternativi a quello che i politici attuali propongono: ovvero finanziamenti ingenti del servizio di trasporto pubblico.”

Non riesco a trattenere il sollievo, tanto che i cani mi studiano, e subito cominciamo a giocare. Prendendo fiato, mi soffermo sulle nuvole che si radunano a ovest. Ricordano quel pomeriggio di pioggia del luglio 2008, quando all’11° campeggio NO TAV di Venaus l’assemblea di confronto tra i movimenti italiani di lotta a difesa del territorio e dei beni comuni sottoscrisse il Patto Nazionale di Solidarietà e Mutuo Soccorso, forse una delle iniziative più belle nate dalla coscienza civica di questa nazione. Quello strumento metteva in relazione le esperienze di opposizione di tanti comitati della penisola alle grandi opere e allo stupro della terra.

Lo pensai allora, e lo penso ancora. Il fiore d’asfodelo, sacro a greci e romani che ne offrivano corone alle divinità sotterranee, il fiore dei defunti che ricopre le vaste distese d’Altrove ove camminano le ombre degli antenati, dovrebbe diventare il simbolo del Patto. Un omaggio ai contadini e ai pastori il cui lavoro e la cui memoria è minacciata da una modernità insaziabile, più feroce di qualsiasi pantera, vera o presunta. Se davvero esiste, la pantera della collina ha ora una casa sicura, penso tornando a giocare, sperando di tutto cuore che continui a vagare libera per questi dilettosi monti e nei sogni di chi lotta per custodire la propria terra.


Sotto, un video che ho girato qualche tempo fa alla confluenza tra Po, Dora e Stura, ai piedi della collina, tra i luoghi che più amo della città di Torino. La Riserva della Biosfera Collina Po fa parte degli "Urban MaB" del programma scientifico "Man and the Biosphere" (MaB) avviato dall’UNESCO nel 1971 per promuovere un rapporto equilibrato tra uomo e ambiente attraverso la tutela della biodiversità e le buone pratiche di sviluppo sostenibile.

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