
QUATTRO DRAGHI
I was a bride married to amazement
MARY OLIVER
Lungo il corso del grande Yangtse o Fiume Giallo, una cascata è chiamata Porta del Drago. Di tante che hanno tentato, si dice solo una koi sia riuscita a risalire le acque fino a raggiungerla, per trasformarsi in un drago. Arrampicare la cascata è diventato simbolo di tenacia per raggiungere il successo; i cinesi chiamano l’ostacolo sulla via della prosperità la “Porta del Drago”.
La carpa koi è riverita in Oriente innanzitutto in quanto simbolo di perseveranza. Ha una forza tale da consentirle di nuotare verso monte; è considerata emblema di progresso materiale e spirituale. Inoltre, di coraggio. I giapponesi sostengono che, a differenza di altri pesci, se catturata la carpa né ansima né tenta di svicolare: resta immobile, affronta la lama del coltello come un samurai, e il terrore con la calma. Per di più, le koi splendono di colore.

Il termine nishikigoi fu coniato 200 anni fa per identificate una carpa (goi) allevata affinché potesse sopravvivere e venire consumata durante i rigidi inverni. Ne nacque un ibrido dalla figura aggraziata e dalla pigmentazione vivace, via via identificata come un’opera d’arte, un gioiello vivente. La parola giapponese “nishiki”, infatti, tradizionalmente veniva associata a cose preziose o eleganti, e soprattutto al broccato ricamato con cui si confezionavano i kimono.
Dalle nostre parti si conservano e sommano analogie. La classificazione linneiana include infatti le koi nel gruppo Cyprinus carpio (1758), cui corrisponde l’isola dove Venere, dea dell’amore, emerse come spuma di mare. Nome azzeccatissimo in quanto non solo le koi sono estremamente fertili ma c’è un’equivalenza col giapponese 恋, koi appunto, che significa desiderio, passione o amore romantico e fa delle carpe un simbolo d’amore e amicizia.
Mesi fa scrissi qui che le carpe in giardino forse sognavano “d’andare per fiumi, per laghi e di vivere libere come noialtri anche loro, senza storia né nome”. Allora non conoscevo la storia della Porta del Drago, e quando di recente si sono ammalate ho pensato a quanto avevo scritto. Ho inseguito pensieri che serpeggiavano tra mille parole in cerca di soluzioni. Una dopo l’altra, però, le ho viste morire.




Talvolta mi chiedo se sia giusto leggere simboli e segni nelle cose che vengono, e commuoversi e far grandi queste piccole cose. Non riesco né voglio, forse, sottrarmi a questo sentire, o fare a meno d’intendere me stesso come una koi che nuota controcorrente, tenace, aggrappata al coraggio in attesa di scorgere la Porta del Drago.
Son certo però che traversata la porta, le koi non mutino in draghi di fuoco. Piuttosto, i baffi s’allungano e le squame scintillano traverso le acque. Le immagino come i fiumi glaciali d’Islanda, che s’avvitano sulla terra tra infiniti meandri, e scivolano verso il mare possenti. Mary Oliver scrisse d’esser “sposata allo stupore” e anch’io so—per certo lo so— che dalla Porta del Drago sono passati quattro draghi liberi e senza nome.
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