
UNA CASA TRA LE ONDE
In the stillness
Between two waves of the sea.
T. S. Eliot
Vedere apostrofate con un accento tra invidia e fastidio le mie propensioni eremitiche non è una sorpresa ormai da molto tempo. D’altronde, tra gli affetti dei quali mi circondo, sono l’unico a non aver chiesto elemosine sociali in questa situazione fatta d’attimi sospesi e benedetti. Ciò non sottintende certo un primato, quanto la scelta di far fruttare a modo mio il tempo che mi è dato, il quale come tutti i tempi santi richiede dei tributi.
Da mesi, o meglio anni, mi veniva confidata dagli amici l’insofferenza per il proprio quotidiano; viceversa io sentivo la necessità di radicarmi, di consolidare le fondamenta. Spazio e silenzio, ho detto a settembre; e più tardi: addio ai grandi sogni, benvenute le piccole variazioni dei miei giorni. Tutto questo—nonostante le preoccupazioni—è stato un regalo giunto a tempo debito. Perché allora, mi son detto, non viverlo come occasione per capire cosa e chi voglio veramente, e che mi manca?
Qui dove prima erano cose sguaiate e fiammeggianti, gli scoppi i fuochi i fischi e i fumi sono svaniti. I profumi della sera non sono più gli stessi, l’aria è gravida degli odori della terra.
In tutta onestà, manca soltanto il profumo del mare. Sono uno di quei pochi fortunati a godere del sole anche in città, in un piccolo giardino, e mi adatto da sempre a quel che viene: non ci lotto e mi sta bene. Tutto questo l’ho affrontato suppergiù come un ritiro. In fondo, a proposito di radici, quarantena e quaresima condividono la stessa: 40 sono i giorni e le notti del diluvio, 40 giorni di digiuno affronta Gesù nel suo deserto.
Nel vecchio mondo il presente era liquidato come parcheggio tra un passato irrimediabile e un futuro in cui ci aspetta di meglio. Si narravano leggende: l’età dell’oro, i bei tempi andati o viceversa la crescita infinita, il progresso, il sol dell’avvenire. Sembrava impossibile farci cullare dal presente, salvo in rarissime occasioni, intrise di terrore che cambiasse qualche cosa o di speranza che non cambiasse niente: fughe dal qui e ora, tutto lì.
Siamo stati frastornati da un’epoca convulsa, frenetica e famelica, circondati dal rumore, trascinati alla deriva. Nulla, tuttavia, può accelerare per sempre, ogni moto prima o poi s’arresta. Ci sono stati periodi ben più lunghi, alcune decine di migliaia di anni, rispetto ai quali persino gli archeologi non sanno spiegare l’assenza di progressi in artefatti, usi e riti. Pare che l’umanità ancestrale sia rimasta ferma.
La spinta al cambiamento, concludono, non è mossa dal desiderio di una condizione migliore, quando quel che hai è sufficiente. Argomentazione da poco? Affatto, considerato che noialtri abbiamo molto, ma nulla basta mai. Guardo intorno l’abbondanza che già c’è e intuisco come questo spazio sia dato a chi pretende per apprezzare quel che ha una volta per tutte, e ad altri per curare le presenze che accompagnano il cammino.
Ora, quando emergiamo, strizzando gli occhi al sole una nuova cortesia, una pazienza sconosciuta sembrano arieggiare tra la gente, la gioia di trovarsi e salutarsi.
Circa un anno fa, entrando in questa casa, ho conosciuto un randagio, un eremita che aveva qui il suo spazio di riposo, una delle tante ragioni per cui non sento la solitudine. Da tempo non dorme più in giardino, eppure, la mattina, quando apro la finestra, lui è lì ad aspettarmi. Dapprincipio fuggiva al solo vedermi e attendeva che rientrassi per mangiare il boccone che gli offrivo; piano piano ci siamo addomesticati a vicenda.
Con pazienza, abbiamo costruito la fiducia necessaria ad accorciare la distanza, tessendo centimetro per centimetro il filo che ci unisce. Stamane, nel preparare la sua ciotola, Leone si è avvicinato a guardarmi, a pochi centimetri. Mi sono chinato, offrendogli il cucchiaio, e lui ha fatto per leccarlo. Osservando la distanza tra noi ridotta a un cucchiaino da tè, ho considerato se un regalo come questo sarebbe arrivato senza quel lavorio paziente, quotidiano, tra un’onda ed un’altra.
Non c’è posto come casa, dicono alcuni. Per capirlo non bisogna essere eremiti, ma saper guardare tra le onde, cercare nuovi sguardi.