
NATURA MORTA. L’ARTE DI STAR FERMI
PERCHÉ CORRI?
Più che un comando, da bambini era un gioco: “FERMI TUTTI!” Siamo stati dei virtuosi dell’immobilità, belle statuine, d’improvviso congelati nel fuggi fuggi generale da una palla avvelenata, prigionieri col fiatone costretti in un’attesa che sembrava non finire mai. Che fine ha fatto quel talento? Quando l’abbiamo perduto? Cosa ha indotto i nostri corpi a drogarsi di fatica, le menti a una folle maratona?
Guardo il gatto, maestro nell’arte di star fermo. Lì immobile per ore, cosa fa? Respira, osserva. Segue con lo sguardo quel che corre, o fissa un punto, quasi si schiudesse al suo imperioso sguardo un segreto, la vergogna di chi è incapace a farsi gatto. Ogni tanto guarda me, e sembra dire: “Tu non riesci? Che ti manca? Perché corri?” Certo che provo vergogna.

Ha ragione: l’uomo cerca d’impegnare le sue mani, le sue gambe, la coscienza. L’uomo brucia come paglia, si stordisce. Il gatto no; il gatto riposa, il gatto guarda. Prepara il prossimo scatto e quando va, ci batte senza sforzo. Svanisce in un baleno e in un baleno torna, a sorpresa. Il gatto è dappertutto, puoi pensare, e invece no: non dire gatto se non ce l’hai nel sacco.
Giorno dopo giorno, da un anno buono, lo trascorro in un giardino, e questa vita nuova che ha costretto tutti quanti alla mia vita non è per me niente di nuovo. Diciamo che la vita, la mia vita, se non ferma scorre lenta, e per altri vale poco: è come morta. Ma rispetto a chi lamenta la prigione e lo star fermo, a chi mi incalza e dice “Che si fa?” io rispondo: quel che ti pare.
FARSI GATTO
Io so che questo tempo, il tempo che mi è dato per star fermo il più possibile in solitudine e silenzio, mi è dato per riflettere, per osservare ciò che è stato e ciò che è, e dove vado. Non ho alcuna nostalgia della fretta. Ma c’è di più, io so qualcosa che a te sfugge. So che quella che tu chiami stasi o morte, per altri è vita.
Penso alla roccia, per la quale il nostro sonno è frenesia; o agli alberi, offesi che si chiami “vegetale” chi ha perso tra noi la facoltà di fare. Grazie al cielo, altrove traducono altrimenti la lentezza, e quella che tu chiami “natura morta” è solo ferma: still. “Still life”. In questa immobilità puoi notare qualcos’altro, apprezzare le radianze e risonanze di altre vite. Io le vedo, qui in giardino.




Il guizzo del pesce, una foglia, un ragno a passeggio. Tutto si muove in quell’immobilità, compresa la mente. Così osservi anche i tuoi pensieri, le ansie, finanche la vanità del pensare e l’incapacità delle parole di esprimere la pulsazione dietro l’illusione. Non attendi più d’agitarti, ma attendi all’agitazione. Se hai fortuna, puoi esser colto dalla grazia di un’attenzione tesa, soltanto, a osservare. Ti fai gatto, in poche parole.
E come da bambino l’urlo ti sorprendeva o la palla ti liberava, così viene una eco da lontano a risvegliare i sensi, o un desiderio del corpo, o una fantasia che si fa largo dolcemente. No, non ho paura di star solo e di star fermo, perché scopro la profondità di questa vita oltre il suo trascorrere, e delle vite d’ogni essere del mondo: una natura che tutto è, tranne che morta.