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VARIAZIONI

Dal nuovo anno ci attendiamo grandi rivolgimenti e rivoluzioni, insistiamo sui cambiamenti, sulle “magnifiche sorti e progressive”, su grandi speranze. Si ha sempre fretta di sbarazzarsi di quest’anno e di tentare quello appresso. Se la verità, invece, negasse ogni cambiamento: niente rivoluzioni in vista, né speranze da esaudire? Se l’anno nuovo si svolgesse tale e quale ai precedenti, facendoci di volta in volta un po’ più stanchi, un po’ più vecchi?

La speranza è l’ultima a morire; sopravvive con uno sberleffo ai nostri corpi. La culliamo, la nutriamo e lei, da brava parassita, s’insidia nei giorni, offrendo scuse per far nulla. Che dire delle rivoluzioni? Quel tempo è finito senza mai portare niente di buono. Ci si aspetta un mutamento evidente, vistoso, sgargiante: un terremoto. “M’investirà come un’onda di risacca”, diciamo, “Verrà, e sarà un fulmine a ciel sereno!”. Eppure ci ritroviamo di anno in anno a mani vuote.

Non si cambia per libero arbitrio, ci si scopre solo diversi. All’alba di questo doppioventi, perciò, riposta l’attesa di alcunché di GRANDE, faccio caso alle serene, minute variazioni nei miei giorni. Oltre che in letteratura, ho sempre amato, in musica, quest’esercizio. E se dovessi scegliere un’equivalenza alle riscritture tentate da Raymond Queneau negli “Exercices de style sceglierei Antonio Vivaldi, maestro nel modellare l’uguale in poliforme.

La Follia” è un capolavoro. Nove minuti tra sciabordii di gondole, maschere e riflessi; la tonaca del Prete Rosso sventola sui pontili della Serenissima e le orfanelle della Pietà lustrano i violini. Le perfezioni vivaldiane dipingono il mutamento di una vita: impercettibile talvolta, talatra vistosissimo. La bellezza s’alterna al turbamento, perciò penso: anziché smaniare per il meglio, apprezziamo quel che è, ed è già molto. Potrà esserci strappato, oppure far da leva a qualche cosa che rischia d’adombrare un presente già radioso.