
INVERNO. OGNI COSA RISPLENDE
In anticipo rispetto al solstizio, ma con l’animo di chi sente arrivare le cose, e in questo caso la luce, libero al nuovo sole Levi e l’inverno, come nel cuore li sento, ed è bello. A dire le cose per bene, in realtà, come sempre, il pezzo era uscito su Passaggi e sconfini, a cui dico grazie per quest’anno insieme.
Di questi tuoi libri che incontrammo bambini, assieme a una rosa di libri gemelli, con lo scopo d’imprimer nel cuore ciò che fu allora, io ho sempre pensato che alla memoria tuonassero, eppure nuocessero alla ricerca, nella parola, della verità. Perlomeno a quell’ora, perché libri così, a cuori innocenti, fan passare la voglia di leggere ancora. Come parabole nere, le favole vere dei campi, dei sommersi e salvati gelano l’anima affacciata sul mondo. Le storie tue, Primo, son la promessa del male possibile, del male incarnato, dell’uomo corrotto. Piccino com’ero segnarono un dolore infinito, e il terrore dei libri.
Le nostre madri e i nostri padri, i vostri figli, ci hanno educati a pensare il male come una curvatura del tempo, un’anomalia transitoria, perché il bene, comunque, vince sempre. Ci hanno insegnato il lieto fine, a godere il Natale, a comprare. E appena imparato che un vecchio vestito di rosso non porta i regali in una notte incantata, lasciano altri metterci in mano un libro, il tuo libro, e tu scrivi: “Guai a sognare: il momento di coscienza che accompagna il risveglio è la sofferenza più acuta. Ma non ci capita sovente, e non sono lunghi sogni: noi non siamo che bestie stanche”.1
Veniamo a sapere di voi, “astri spenti”2 sotto la neve in un luogo lontano, e di gente che uccise altra gente a milioni, di mostri che attorno alle fiamme dei corpi bruciati si scaldavan le mani. Come può essere? Come? E perché? Ma non c’è una risposta, o se c’è è complicata alla mente d’un bimbo. Chiuse le pagine, l’architettura del campo è conficcata nel cuore: “le baracche dove avevo sofferto e mi ero maturato, la piazza dell’Appello su cui ancora si ergevano, fianco a fianco, la forca e un gigantesco albero di Natale”. Quelle parole, quelle orrende parole come un ghigno di iena: “Arbeit Macht Frei”. 3

Come si può credere ancora? Come ignorare “l’infezione del Lager”? 4 Qui, ora, il gelo, la neve e gli alberi nudi fanno spazio alle cose: è come se il cielo s’aprisse e scendesse sul mondo, svuotato del troppo e ridotto all’essenza, un vuoto perfetto nel quale scintillano luci e calore. Voci amiche salutano nei giorni di festa, si gioca, si ride, e nelle tiepide case si vive la gioia dei doni e dei nomi. Una gioia senza preghiere e senza memoria: la gioia di chi ha in dono la vita. Si dice: passa tutto, tutto ciò che nuoce! Volta pagina, dimentica! Non tu, Primo. Tu hai trascritto l’inverno del mondo, fiocco per fiocco.
Le lunghe notti, il freddo là fuori, e il dolore, bisogna osservarli. Amo soffermarmi nel freddo, forse perché son nato d’inverno. Lì scintilla ogni cosa, lì ogni cosa si mostra per quello che è. Ogni cosa risplende. Tu, Primo, scrivesti che “tutti scoprono, più o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche una infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i due stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica di ogni infinito”. 5




Ebbene, come quella figura che chiude in un cerchio bene e male, e in ogni metà fa risplendere il seme dell’opposto, così io affronto il silenzio invernale e il contrario suo prossimo, e davvero ogni cosa. O almeno ci provo, e ti prendo ad esempio. Tu, amico mio, mio maestro, col tuo speciale interesse per l’animo umano, volendoraccontare le cose cui avevi assistito e che avevi patito, suggerivi che“forse ha giocato infine anche la volontà, che ho tenacemente conservata, di riconoscere sempre, anche nei giorni più scuri, nei miei compagni e in me stesso, degli uomini e non delle cose”.6
Ogni volta che cedo, ogni volta che dispero, a te penso, a quanto hai passato, e a quanto possiedo, alla fortuna che ho. Ti penso, e ci credo: ogni male, ogni inverno, ogni pena, come ogni cosa lieta, poi passa. Faccio spazio all’inverno e ricordo: nel buio riluce qualcosa, nel gelo il tepore. Fosse anche una scintilla, un miraggio. Fosse anche una candela, una sola, come te. Siamo fiammelle sperdute su un pallido punto sospeso nel buio, sussurri nell’infinito silenzio, candele nell’Antartide.