
LUCE E OMBRA
Si racconta questa storia.
Le figlie del Re del Mondo, Luce e Ombra, ottennero in dono una metà della terra per amministrarla con saggezza. Ombra pregò il padre di concederle le colline fertili dell’Ovest e il Mare dei Mercanti. Luce attese il decreto del Re, e fu lieta di ricevere le Bianche Steppe e le montagne dell’Est, popolate da gente umile e laboriosa. “Chi di voi avrà meglio regnato governerà la vita alla mia morte”, disse il Re, battezzando i due regni Regno del Vespro e Regno dell’Aurora.
Il Regno del Vespro crebbe in potenza e ricchezza. Ombra regolava l’esistenza dei suoi sudditi con zelo, assegnando a ciascuno una mansione secondo le leggi promulgate dai suoi dieci ministri e riscuotendo le spettanze che contribuivano ad accrescere il tesoro della corona. Per i trasgressori erano previste tre ordalie secondo l’efferatezza del crimine: infamia, esilio o morte. Sola nel suo palazzo, sontuosamente agghindata, Ombra regnava con astuzia e fermezza.
Luce non si recò nella capitale. Curiosa di conoscere il reame ed i suoi sudditi, l’attraversò come una comune pellegrina per apprenderne usi e tradizioni. Andava così e colà chiedendo notizie di ogni cosa, incantata dalla straordinaria varietà dei luoghi e dei costumi, raggiunta di tanto in tanto da un messo che in segreto recava notizie. Come ogni essenza che proceda senza regola, nelle vastità disabitate dell’Aurora tutto fioriva e appassiva senza chiasso, e a regnare era la quiete.

Smaniosa di riscattare le sorti dell’Est, Ombra mobilitò le legioni del Vespro. I suoi ministri riportavano notizie preoccupanti sul degrado delle lande, sull’ignoranza e la pigrizia delle genti. Per di più, si diceva, la regina era scomparsa o peggio morta, lasciando all’anarchia quella parte della terra. Bisognava impedire che il contagio s’estendesse all’Ovest. Cinquecentomila uomini marciarono allora oltre il confine delle Steppe, imponendo la legge del Vespro su tutte le contrade.
Leggera nei suoi spazi, Luce osservò e lasciò che così fosse. Venne un messo e disse: “Mia Regina, è ora di combattere”. Lei sorrise: “Sii paziente”, rispose, e le parole splendevano chiare e calde come il sole oltre le nubi. “C’è spazio per ogni cosa. Conosco mia sorella e le sue intenzioni; ella agisce secondo un giudizio che non può definirsi ostile né malvagio. Io voglio assecondare il destino deciso dalla sorte per il mondo”. Il messo si congedò, partendosene dalla regina che proseguì con la diligenza di gitani.
Ombra fece suo l’Est e venne acclamata Imperatrice dei Due Mondi. Alchimisti e astrologi compilarono testi d’arti magiche e di scienza a supporto delle Tesi del Vespro. Le tre ordalie s’affermarono come Ultima Tesi, ben presto sostituite da una sola: la condanna a morte per chiunque disubbidisse, o anche solo contestasse, la volontà dell’Imperatrice. Col trascorrere degli anni, ministri e Mercanti s’arricchirono e goderono, ma tra i sudditi correvano sussurri, poiché gli umili pativano la fame.
Venne infine il giorno in cui il Re padre, malato e prossimo alla morte, convocò a palazzo l’Imperatrice. Ombra calcò i saloni cosciente del suo grado e orgogliosa delle sue fortune. Giunta al capezzale del vecchio, ebbe un vago moto di disgusto osservando quel piccolo uomo ritorto, rinsecchito come un ceppo. Non s’inchinò, e anzi porse la mano inanellata sulle labbra roventi di suo padre. “Figlia mia, mia Imperatrice”, salutò il Re, sporgendosi a baciare quella pelle d’alabastro con le poche forze rimaste.

“Vecchio”, disse Ombra senza traccia di sorriso. “Ho riscattato l’Est caduto e salvato il mondo dalla fine. Il mio Impero è prospero. Mi spetta l’Anello del Reggente, secondo la tua promessa”. Il Re annuì e con gli occhi pregò la sua serva di sfilargli l’anello dal dito e conferirlo all’Imperatrice. Gli occhi del re si fecero liquidi, la sua voce ancor più esile. “Figlia”, disse con l’ultimo fiato in petto, “ricorda il continuo alternarsi delle cose, l’andare e venire di noi tutti. Combattere è nella natura del debole. La resa è forza.”
“Che dici?” rispose Ombra, sentendo il furore montare come una marea dentro di sé. Il re si affacciava ormai sull’Ultima Soglia, così la serva si chinò per sentire le sue parole. “Quando dieci dita non bastano più a umiliare il prossimo”, ripeté all’Imperatrice mentre lacrime rigavano le sue guance, “ecco che il debole cerca un branco di deboli per sostenere la sua causa, altre braccia per odiare con più forza. La gelosia è nella loro natura: la gelosia della pace”.
“Io non conosco gelosia. Chi ha tutto non può invidiare nulla!” urlò Ombra. Poi la serva riprese, con un filo di voce: “Possiedi ogni cosa, oh Imperatrice del Vespro, eppure regni senza pace, imperando solo sul vuoto del tuo cuore. Ero come te. Avevo un fratello e lo uccisi per avere il suo regno. Ho capito troppo tardi che non c’è misura da colmare nel cuore di chi è saggio, perché è già colma. Solo il cuore dei deboli imbraccia la spada. Tu hai l’anello, ma sarà Luce a ereditare questo mondo.” Così disse, e spirò.
L’Imperatrice diede in pasto ai cani il corpo, fece abbattere il palazzo e cospargere di sale le rovine, riarmò l’esercito e fece costruire forche con gli alberi delle foreste, ordinò di setacciare l’Impero in lungo e in largo in cerca della Regina dell’Aurora perché venisse passata a fil di spada. Ma Ombra non trovò mai Luce. Impazzì, invece, assediata dai suoi fantasmi, trincerata nel palazzo con la sola compagnia della serva che aveva condiviso il segreto del re, forzata al voto del silenzio.

Questa la accudì sino alla morte, vestendola, sfamandola, curandone le piaghe, trascinandosi per le sale in catene. All’approssimarsi della fine, in preda al terrore, l’Imperatrice ghermì i polsi della donna, implorando di non abbandonarla, d’accompagnarla sulla Soglia. La serva annuì, e i suoi occhi erano gentili e sinceri. Mai avrebbe lasciato la sua sovrana. L’accarezzava, le sorrideva, e Ombra, in preda alla pena e al pianto, la ringraziò. “Rompi il tuo voto e dimmi il tuo nome, così che possa raccomandarti ai Custodi”.
“Luce”, rispose la donna. Gli occhi di Ombra si spalancarono. Per un istante l’attraversò il pensiero di stroncare quell’essere miserabile, di portare sua sorella con sé nell’oltretomba, ma in verità non provava più rancore, era soltanto incredula. Come era possibile? Una regina! Sopportare tutte quelle umiliazioni! Così, con l’ultimo fiato in petto, ripeté le ultime parole di suo padre: “… Ricorda il continuo alternarsi delle cose, l’andare e venire di noi tutti… La resa è forza… Perdonami…”
Quegli anni ebbero fine come tutte le cose, buone o malvagie che siano. L’Imperatrice della Luce ereditò il mondo, governando come meglio poté, secondo la sua natura. Fu un tempo sereno, di quiete e di preghiera, cui succedette il governo delle figlie, poi dei loro figli, quindi dei figli dei loro figli, una continua alternanza tra popoli del Vespro e dell’Aurora. Il predominio di uno sull’altro non è mai avvenuto né avverrà, poiché in noi tutti c’è traccia di luce e di ombra e noi tutti siamo sedotti ad un tempo dall’una o dall’altra, liberi di scegliere la forma che ci aggrada, sovrani di noi stessi.