
SPAZIO
C’è una realtà più profonda di quella scemenza di Cartesio per cui siamo solo in quanto pensiero. Esiste una coscienza che trascende l’ego pensante, in direzione di una più sottile presenza. È ciò che siamo stati prima di pensieri e parole, prima di articolare la ragione, di ingarbugliarla e inorgoglirla nei secoli dei secoli. Qualcosa ci rende simili a “ciò che non ha voce”, qualcosa risveglia l’animale in letargo dentro al cuore.
Ho creduto alla necessità di dar voce a ciò che non ha voce. Ora mi pare la pretesa di riempire il mondo di chiacchiericcio nauseabondo: è vero sì, sono parole differenti, ma necessarie soprattutto a chi confida nella ragione e basta, e non son molti ad aver compreso Cartesio ed i suoi tweet. Temo restino parole vuote. Altro va fatto: tacere, ascoltare, farsi maestri del silenzio, o tuttalpiù maestri dei sussurri.
Tacendo opinioni, posizioni, pretese, aspettative, intuisco una più vasta realtà, una vibrazione che riverbera anche in me. I gesti dell’erba, il volo degli uccelli, lo scorrere dell’acqua condividono il linguaggio di chi una voce non la cerca in questo nostro mondo. Le macchie scure che ora leggi, cucite insieme sopra i fogli a tradurre l’esistenza, milioni di miliardi di parole e pagine, sono un canto solo nostro.
A chi si chiese di che cantassero gli uccelli, o se ciascuno cantasse un canto suo e tutti insieme producessero l’armonia involontaria che ci giunge, io rispondo: può anche darsi che il nostro canto condiviso, il nostro traffico e i nostri libri e i nostri affanni, tutti insieme, a chi ascolta possano tradursi in sinfonia. Chissà, a me interessa ora lo spazio che si crea tra una canzone e l’altra.

Quel silenzio che è il silenzio primordiale, il silenzio tra due parole, tra domanda e risposta, tra cinguettio e romanzo, tra monte e cielo, tra terra e sole, tra sole e stelle, è lo spazio che accomuna umani e non umani. Lo spazio che si allarga col respiro tra i pensieri, tacendo faccio in modo che s’allarghi. Tacendo siedo in compagnia degli alberi e dei gatti, maestri del silenzio. Ascolto.
Tacendo guardo attorno e vedo voi schierati all’orizzonte come creste, ciascuno solida montagna di storie ed opinioni, ciascuno teso all’espressione di se stesso, divoratore di spazio e di silenzio. Circondato di montagne, cerco la valle che si apre tra una montagna e l’altra, lo spazio che separa voi l’uno dall’altro e che unisce me a ciascuno. Cerco la valle che io sono e la voce che c’è in me.
Incarnato in una valle, quella valle è diventata metafora di ciò che sono e ciò che voglio. Come valle riesco a scivolare tra voi tutti, a fare spazio per la valle e per le valli di ogni dove. Animale silenzioso, posso tessere canti con il niente, comporre odi bianche, pubblicare libri vuoti. Temevo d’essere il cantore della morte, ma riflettendo sulla vita ho capito d’avere orecchie per sentire le chiare voci che non senti.